Negli anni Trenta del secolo scorso era stato fabbricato per essere destinato a mattatoio. Nel centro di Terzigno, l’edificio a due piani, dalle linee semplici ed eleganti, solo qualche decennio più tardi era precipitato in un totale abbandono.

Fino ad un importante intervento di recupero, che di recente l’ha finalmente consegnato alla fruizione pubblica come sede del MATT, il Museo Archeologico Territoriale di Terzigno. Un nuovo, accogliente scrigno per un tesoro archeologico che si aggiunge, con la sua peculiarità e unicità, agli altri di cui è stata e continua ad essere prodiga la terra vesuviana.

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L’altra parte di questa intrigante storia ha come scenario una cava di pietra di lava fuori dal centro della cittadina, in una località chiamata Boccia al Mauro. Lì, nella Cava Ranieri, veniva estratta la famosa “pietra vesuviana”, che poi era la lava solidificata dell’eruzione del 1832/34, largamente usata fin dall’Ottocento per lastricare le strade di Napoli e dintorni e per l’edilizia, una volta lavorata e trasformata in portali, timpani, balconi. Dopo tanti decenni di attività estrattiva, nel 1981 si raggiunse la base di quello strato geologico e, andando oltre, venne intercettato lo strato di ceneri e lapilli corrispondente alla famosa eruzione del 79 d.C., che aveva dato origine al cono del Vesuvio come lo conosciamo oggi.

Da quel momento Cava Ranieri prese a restituire anche altro, oltre che materiale da costruzione: una cisterna, uno scheletro e solchi di coltivazioni. Era solo l’inizio. Sebbene fossero state danneggiate dalle attività estrattive, emersero in successione tre ville rustiche delle tante disseminate nell’ager pompeianus dalla rinomata fertilità. E il territorio dell’attuale Terzigno era, a quel tempo, un suburbio della città di Pompei, dove diversi ricchi romani avevano fattorie con vasti terreni coltivati, prevalentemente vigne e uliveti. 

Le ville di Cava Ranieri, collocate probabilmente lungo la strada di collegamento tra Pompei e Nola e risalenti all’età tardo repubblicana, ne sono la testimonianza. Grazie ad esse è stato possibile ricostruire la vita contadina nell’area pompeiana. Con il valore aggiunto che una particolarità delle ville di Terzigno, rispetto alle altre rinvenute intorno a Pompei, è che alla parte destinata alle attività agricole (pars fructuaria) e a quella in cui vivevano i servi dediti alla coltivazione e alla lavorazione dei prodotti (pars rustica), si accompagna sempre la zona residenziale dei proprietari (pars urbana), molto curata nell’estetica e nella dotazione di comfort, come le più prestigiose ville della città.

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L’ITINERARIO MUSEALE

Il Museo ricostruisce compiutamente la storia dei rinvenimenti durante le varie campagne di scavo, l’area della scoperta, le caratteristiche e le funzioni delle strutture esplorate, unitamente all’esposizione dei reperti che hanno restituito, puntualmente contestualizzati, tra i quali molti attrezzi agricoli, e alle opere d’arte che vi sono state recuperate.

Nello specifico, nelle sale al piano terra sono illustrate le eruzioni vesuviane da quella del 79 d.C. all’ultima del 1944, la Cava Ranieri e gli scavi delle singole ville.

La Villa 1 fu scoperta nel 1981 e scavata per due anni, che hanno consentito di portarne alla luce circa 600 metri quadri, corrispondenti soprattutto alla fattoria. In particolare, gli spazi dedicati alla vinificazione con la sala del torchio e la cella vinaria, con ben 42 dolia (botti infisse nel pavimento), mentre è rimasto sepolto nelle ceneri il quartiere padronale. Numerosi sono i reperti legati all’attività agricola, ma c’è anche una raffinata antefissa che testimonia la qualità dell’edificio.

Dalla Villa 2 provengono ancora attrezzi, vasellame di terracotta e pesi da telaio. Indagata tra il 1984 e il 1992, la costruzione si estendeva per 1200 metri quadri, era già abbastanza vetusta e aveva avuto bisogno infatti di restauri. Al centro, si apre una grande corte da cui si entra nell’ampia cucina con focolare e forno e, sull’altro lato, nel triclinio affrescato. Gli occupanti furono uccisi dall’eruzione mentre cercavano di fuggire: ne restano, con quelli di due cani, cinque scheletri di cui uno appartenente ad una giovane, che aveva tre collane d’oro (una con numerosi smeraldi) e due bracciali sempre d’oro, oltre a un borsellino con 21 monete di epoca repubblicana e imperiale. Molto raffinati anche uno specchio e un servizio da banchetto in argento.

La Villa 6, indagata dal 1996 al 2011, si estendeva per 2600 metri quadri, più grande della Villa del Fauno a Pompei. Una struttura complessa, realizzata in tempi diversi intorno ad un nucleo molto antico, con un’ultima trasformazione nel I secolo a.C. È riemerso il quartiere rustico con la grande cucina in cui si trovava l’altare dei lari, le stanze per la lavorazione dell’uva, il deposito del foraggio e la zona residenziale col portico a colonnato su cui aprono le stanze, che custodivano i grandi affreschi, oggi esposti al museo, di II secondo stile pompeiano con raffigurazioni mitologiche. Un altro corpo di fabbrica ha stanze da letto e da pranzo con mosaici e affreschi e un quartiere termale, dove sono stati trovati scheletri di sei adulti e di un bambino in fuga dall’eruzione. 

Al piano superiore del museo, è stata interamente ricostruita con lo straordinario affresco dalla cucina della Villa 6 la Sala del Larario, il più recente contributo a un percorso espositivo di grande valore.

Le ville sono state reinterrate per motivi di sicurezza, in attesa di realizzare il progettato parco archeologico-naturalistico di Cava Ranieri. 

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