Dall’alto del promontorio che giganteggia sul mare, sembra vegliare ancora sull’isola. Come quando, allora moderna fortezza, difendeva il borgo dalle invasioni dei Saraceni, che tanta morte e distruzione avevano seminato nei secoli precedenti.

Era accaduto anche dopo che i D’Avalos, già signori della Città d’Ischia, avevano ottenuto da Carlo V il dominio su Procida, nel 1529.

Fu alcuni decenni dopo che il cardinale Innico D’Avalos decise di mettere al sicuro il borgo di Terra Casata, dove si rifugiavano gli isolani quando comparivano le vele nemiche.Castello Lancellotti 00015 p

Le strade strettissime tra le case abbarbicate sul promontorio e il difficile accesso dalla spiaggia dell’Asino, a cui i procidani avevano affidato fino ad allora la propria difesa, furono soppiantati da una imponente cinta muraria, costruita intorno al nuovo palazzo, affacciato sul mare proprio davanti al borgo. E così, verso il 1560/70, Terra Casata divenne Terra Murata

Gli architetti Cavagna e Tortelli si occuparono di costruire la residenza signorile, che cambiò volto a quel luogo e rivoluzionò l’assetto urbanistico dell’intera isola. Per accedere alla rocca, fu aperta una nuova strada, l’attuale Salita Castello. Nell’ambito di quell’intervento, fu spianato intorno alla fortezza un ampio spazio, conosciuto ancora oggi come la Spianata, destinato a terreno coltivato. E fu a seguito di quella novità che si formò sulla spiaggia dominata dal castello  l’abitato della Corricella e che fu fondato il convento di Santa Margherita Nuova, mentre l’antica abbazia di San  Michele, nel cuore di Terra Murata, assunse la configurazione che ancora conserva. 

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La residenza sontuosa dei D’Avalos rimase nella disponibilità della famiglia fino al Settecento, per tutto il periodo del loro controllo da re Carlo, che lo scelse come primo sito reale di caccia. A seguire, anche Ferdinando IV lo frequentò assiduamente nella stagione propizia per la caccia. Nel 1734 il palazzo diventò il Real Palazzo, la prima residenza estiva di Carlo III di Borbone appena salito sul trono di Napoli. Dieci anni più tardi, entrò definitivamente nel patrimonio della Corona per i debiti accumulati da Giambattista D’Avalos e divenne una delle ventidue Reali Delizie e tra i luoghi preferiti dal sovrano.

Nel 1815 vi fu impiantata una scuola militare, poi, intorno al 1830, fu trasformato in prigione, che accolse anche diversi prigionieri politici, come Cesare Rosaroll e Luigi Settembrini. La conversione in “bagno penale” trasformò la struttura storica in linea con la nuova funzione, che conservò fino al 1988. Fu solo dopo un lungo periodo di abbandono che nel 2013 il palazzo divenne proprietà del Comune di Procida, che iniziò a svolgervi qualche intervento di recupero e ad aprirlo al pubblico.

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Il complesso monumentale, stravolto dal lungo uso come prigione, ha mantenuto intatta, fortissima quell’impronta, che ha quasi cancellato ogni traccia del preesistente, a parte la facciata, in stile rinascimentale con caratteristiche rifiniture di piperno, e i soffitti dipinti delle grandi sale, suddivise per accogliervi le celle dei detenuti. La caserma delle guardie è un ampliamento ottocentesco come altri ambienti del carcere più nuovo. Era composto da un edificio di celle singole, che i carcerati avevano dipinto ciascuna di colore diverso, e da un edificio di celle collettive, qualcuna con quaranta ospiti addirittura con la medicheria e la casa del direttore. E i locali della teleria, dove si tessevano le stoffe di canapa e si confezionavano capi di biancheria, la falegnameria e la legatoria. Tutte attività create dai Gesuiti per redimere i carcerati. Mentre la Spianata, con i suoi circa due ettari di terreno, era utilizzata per coltivazioni e allevamenti, con la vendita settimanale dei prodotti in un mercato allestito nel carcere.

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La maggior parte dei locali inseriti nelle visite guidate sembrano ancora essere stati appena lasciati dai detenuti, con le loro divise, scarpe, oggetti di uso quotidiano. L’ultima stanza offre una installazione di Alfredo Pirri, intitolata7.0, perché inaugurata la mattina alle sette, giacchè l’opera è stata concepita per intercettare il primo raggio di sole del nuovo giorno.

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