Fino al 1980 erano pittoresche stradine di pietra tra le case di un paese popolato e vivo. Da poco meno di vent’anni, identificano l’ubicazione di ruderi antichi, tutelati da un parco storico-archeologico aperto alle visite.
I cinquantanove secondi che in quell’indimenticabile 23 novembre rasero al suolo Conza della Campania, riportando indietro le lancette della storia, restituirono al presente la preesistente Compsa e finanche tracce di un insediamento sannita più antico. Lo strano destino del borgo, sulla collina vicina al corso dell’Ofanto, che si era dovuto rigenerare più volte nel corso dei secoli e che oggi condensa in un unico spazio testimonianze sovrapposte di epoche, culture, popolazioni.

Fu dalla rimozione delle macerie degli edifici del paese smantellati dal terremoto, che emerse lo strato corrispondente all’insediamento più antico di cui ormai non restava che una sempre più lontana memoria. In origine era stata una città sannita, della tribù degli Irpini, e aveva partecipato da alleata di Pirro, re dell’Epiro, alla guerra contro Roma. Poi, nel 275 a.C. era stata sconfitta dai Romani nella decisiva battaglia di Benevento. E Compsa romana, merito anche della sua posizione geografica strategica, era diventata municipium assegnato alla gens Galeria. Ma nel corso della seconda guerra punica, Compsa sostenne Annibale, come ricorda anche lo storico Tito Livio. Solo nel 216 fu riconquistata da Quinto Fabio Massimo e nel 214 tornò ad essere municipium. In seguito sarebbe stata citata da Giulio Cesare nel suo De bello civile, a conferma dell’importanza che le era riconosciuta a quel tempo.

Alla Compsa romana, edificata secondo lo schema classico di cardini e decumani appartengono i resti del foro ritrovato. Nella piazza lastricata è collocato un cippo funerario e, nelle immediate vicinanze, si trovano sia abitazioni sannite più antiche che un edificio romano con un podio formato da blocchi di calcare. Ci sono poi parti dell’anfiteatro, nei pressi del quale è tornata alla luce un’ara votiva dedicata a Venere. Di grande interesse è un’ara funeraria di marmo, che reca due aquile ad ali spiegate e ghirlande con i nomi dei committenti. Ed è riemersa anche parte delle terme

La città romana ha restituito epigrafi, mosaici, sarcofagi e pregevoli reperti, custoditi in un museo allestito all’interno all’area archeologica.

Dopo essere stata occupata da varie popolazioni barbariche, Conza, allora già sede vescovile, fu saccheggiata nel 570 dai Longobardi, che poi la annetterono al Ducato di Salerno e vi istituirono un gastaldato, in seguito soppresso dai Normanni. Fu in quel secolo che venne edificata su un preesistente tempio romano la cattedrale di Santa Maria Assunta. Che subì notevoli danni, come il resto dell’abitato, dal terremoto del 990, a seguito del quale Compsa fu ricostruita più in alto, intorno al castello di cui restano parte delle mura. La cattedrale subì un primo rifacimento nel XIII secolo, seguito da altri per sanare le ferite dei sismi ricorrenti. Dai quali si salvarono solo pezzi delle mura e il sepolcro di Sant’Erberto, che fu vescovo di Conza tra il 1169 e il 1181 e che poi, santificato, ne divenne il patrono. Il sarcofago di marmo che ne accoglie le spoglie è giunto intatto fino ad oggi. Dell’antica cattedrale restano l’abside e la parete di destra, parte integrante del parco storico-archeologico. Dove si ritrovano anche una parte del campanile turrito e la cripta dei cappuccini.

Il parco occupa l’intera area della Conza antica che, capitata nell’epicentro del terremoto del 1980, è risultata l’area più devastata, tanto da suggerire, per la seconda volta nella storia, la ricostruzione in altro sito, a circa un chilometro di distanza, più a valle. Lì è sorta la nuova Conza, che resta profondamente legata alle affascinanti vestigia, testimoni del suo passato, sulla collina.