Fin dalla prima volta che aveva visto il posto, era stato chiaro al duca Arechi II che lì era tutto ciò che cercava.

Una posizione favorevole, innanzitutto. Dalla cima del monte, chiamato Bonadies proprio perché per primo era baciato ogni giorno dal sole sorgente, si osservava tutto il golfo e si teneva sotto controllo il mare in tutte le direzioni. E tutt’intorno le altre colline le facevano scudo da possibili attacchi alle spalle. E poi c’era quella torre, solida, di pietra, su vari livelli, costruita per ordine del generale Narsete due secoli prima, per controllare il mare e le vie di comunicazione con la fiorente città di Nuceria Alfaterna e le zone produttive dell’interno. Così Arechi prese la decisione e diede ordine di allargare e rafforzare quella fortezza, affinché diventasse inespugnabile. E il nuovo castello risultò perfettamente funzionale al ruolo che il duca, appena proclamatosi princeps, aveva scelto per Salerno. Era il 774 e con la Langobardia Maior nel nord vinta e sottomessa da Carlo Magno, quel che restava del potere longobardo in Italia si identificava ormai con il ducato del sud. A sancire il nuovo assetto fu proprio il trasferimento del centro politico-amministrativo del principato da Benevento sulla costa, a Salerno.

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A trecento metri d’altezza, il castello di chiara pietra calcarea locale era al vertice di un ampio e articolato sistema di difesa a triangolo, che abbracciava protettivo tutta la città allungata nella pianura sottostante, fin sulla riva del mare. Le mura merlate scendevano lungo i fianchi dell’altura e collegavano le torri, messe in comunicazione attraverso ponti levatoi. Il complesso era congegnato in modo che anche un piccolo manipolo di armati potesse opporsi efficacemente a eventuali attacchi, spostandosi velocemente dalla città costiera in difesa del baluardo sulla vetta. Non a caso, lo storico longobardo Paolo Diacono lo descrisse come la rocca più munita d’Italia, opinione unanimemente condivisa dai contemporanei. E confortata dal fatto che non fu mai espugnata. Anche quando l’ultimo re longobardo, Gisulfo II, vi si rifugiò nel 1077 dopo la caduta della città nelle mani del normanno Roberto il Guiscardo e riuscì a resistervi per diversi mesi, fin quando la fame non lo spinse alla resa.

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I Normanni vincitori apportarono modifiche alle mura e ampliarono l’area già vasta che esse cingevano. Per rendere ancora più sicura la rocca, edificarono a nord-ovest del castello, su uno sperone di roccia, una nuova torre, che in seguito fu definita la Bastiglia, volendone evidenziare la funzione di carcere, sebbene le prigioni fossero collocate proprio nei sotterranei del castello. Che durante il periodo angioino fu adattato alle nuove armi in uso, creando in alcuni punti strategici delle fessure utili a scoccare dardi contro eventuali aggressori. Il castello, che all’epoca era abitato, fu munito di cisterne e perfino di un impianto termale. Con gli Aragonesi si aggiunsero altri corpi di fabbrica a quelli originari e altre innovazioni furono apportate nel XVI secolo dai Sanseverino, signori di Salerno, che soggiornavano nel castello durante l’estate. Nel 1820 fu teatro di una congiura carbonara, che non andò a buon fine. Intanto, qualche anno prima, nel 1812, Ugo Foscolo aveva ambientato tra le mura calcaree della rocca, allora già in decadenza, la tragedia Ricciarda. Con l’Unità d’Italia iniziò una fase di abbandono proseguita fino alla seconda metà del Novecento, quando il castello passò alla provincia di Salerno che ne avviò il restauro, grazie al quale sono state restituite alla fruizione pubblica le strutture che hanno resistito al declino del tempo.

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La vista spettacolare che si offre dalle suggestive rovine del Castello, salendo nella parte più alta della fortezza, spazia dalla Costiera Amalfitana fino all’estremità meridionale del golfo, che si abbraccia interamente con lo sguardo. Dall’alto, la città rivela integralmente la sua molteplice identità: dalla distesa di tetti rossi della Salerno medievale, inglobata nel sistema difensivo di cui il castello era la testa, ai quartieri moderni dell’espansione verso sud, con gli edifici più arditi firmati dagli archistar stranieri, che vanno a congiungersi visivamente all’area industriale in lontananza; dal magnifico lungomare, in cui si individuano gli imponenti palazzi costruiti tra il Sette-Ottocento, al porto, immenso, con la parte commerciale distinta dai moli turistici che accolgono migliaia di imbarcazioni da diporto. Tutt’intorno alla rocca, la natura è ancora padrona. Sulla destra, verdissimo, si distingue il Monte Stella, il più alto dei monti della catena dei Picentini che fanno corona a Salerno; a sinistra, incastonato tra i boschi, il laghetto di Brignano, noto anche come ‘u fuoss ra cret, perché è frutto dell’accumulo di acqua in un’antica cava di argilla. E poi il grande parco intorno al castello, sulle pendici del Monte Bonadies, anch’esso coperto in gran parte di boschi di lecci, querce e macchia mediterranea, da scoprire attraverso i percorsi naturalistici organizzati.

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I MUSEI DEL CASTELLO

Grandi macine di pietra dominano lo spazio al centro dell’ampio ambiente che, su due livelli, accoglie il Museo medievale con ingresso sul grande cortile interno alla fortezza. Lì sono custoditi tutti gli oggetti ritrovati all’interno della rocca, di cui testimoniano la funzione difensiva e la vocazione militare, ma anche l’uso abitativo prolungato nei secoli. Nelle vetrine sono presenti punte di frecce e parti di armi tra il XII e il XV secolo, ma è di gran lunga più cospicua la dote di manufatti di ceramica (perlopiù ceramica islamica) di uso quotidiano, con decorazioni in verde, azzurro e giallo, e frammenti di oggetti in vetro, sempre collegati alla presenza di abitazioni all’interno della rocca. Molto ricca è l’esposizione di monete, soprattutto risalenti ai periodi svevo e normanno, provenienti dalle zecche di Rouen e della Sicilia, ma anche dalla zecca normanna di Salerno con monete d’oro e d’argento. Nella parte più alta del castello, è attivo il Museo multimediale, con video, dispositivi interattivi e proiezioni che riproducono virtualmente la realtà del  maniero in epoca longobarda.DC SALERNO AAA 6802