Vini, oli, salumi, castagne e mele annurche: le leccornie in Campania Felix

L’alberata aversana si sviluppa tutta in altezza. Quella dei pioppi su cui si arrampicano le viti di Asprinio, un vitigno autoctono che popola i terreni dell’agro aversano nel territorio di ventidue Comuni. Lì la vendemmia si fa con scale alte fino a quindici metri, per andare a prendere l’uva che cresce sulle spalliere delle viti sorrette dagli alberi.

La classica eccezione alla “regola” dell’allevamento basso,  introdotto dai Greci ventinove secoli fa proprio in Campania e diffuso in tutti gli altri territori vocati alla viticoltura anche nella Campania Felix. Come l’area del vulcano di Roccamonfina, dai terreni acidi e freschi che sono la patria del Galluccio, un Doc ottenuto per il bianco da Falanghina e per il rosso e rosato da Aglianico. Gli stessi vitigni coltivati nella zona del Massico, un tempo nota come ager Falernus, in cinque Comuni tra cui Sessa Aurunca e Mondragone, danno il Falerno del Massico Doc, uno dei vini più amati dai Romani, descritto da Plinio per le caratteristiche della sua produzione e cantato da Catullo e da tutti i grandi poeti e letterati latini.

Anche l’ulivo è pianta antica e preziosa. Nelle fertili terre della Campania Felix si producono ben tre oli extra vergini Dop. C’è il Terre Aurunche, con prevalenza di olive di specie Sessana, che prendono il nome da Sessa Aurunca, il centro principale di questa produzione, a cui si uniscono percentuali minori di Corniola, Itrana e Tonacella, cultivar tipiche delle zone limitrofe. Altri oli pregiati, diversi dal primo e tra loro, sono il Terre del Matese e il Colline Caiatine. E  poi, sebbene siano caratteristiche del vicino Lazio, l’area di produzione delle nere olive da tavola di Gaeta si estende anche in parte della Campania Felix.

L’olio è il condimento ideale per esaltare il sapore di specie antiche e particolari di legumi, coltivate in areali molto circoscritti: le lenticchie e i ceci di Valle Agricola e i fagioli lattini del Matese, dolci e delicati, che nella cottura assumono un colore marroncino scuro. 

Percentuali significative di terreni agricoli sono dedicate all’orticoltura, che assicura il continuo approvvigionamento di verdure di stagione, ingredienti fondamentali di tante ricette. Tra le tipicità spicca il carciofo capuanello, che porta l’origine di Capua nel suo nome. Della grande famiglia dei carciofi romaneschi, matura tra marzo e aprile e presenta un  capolino sferico, perlopiù di colore verde con qualche esemplare violaceo. Molto tenero e profumato, può essere consumato anche cotto alla brace. Usato d’inverno dalla cucina locale è il cardone selvatico, che cresce spontaneo tra le altre erbe dei campi. Tra le migliori cipolle campane non può mancare la alifana ramata. E nella Campania Felix è la culla delle papaccelle, ovvero i caratteristici peperoni rotondi, verdi e rossi, anche piccanti, che si conservano sotto aceto e sono ingrediente fondamentale dell’”insalata di rinforzo” natalizia.

papaccelle

Negli anni Cinquanta del secolo scorso era riconosciuto a rischio di estinzione. Poi c’è stato un recupero e il maialino nero casertano è tornato ad essere piuttosto diffuso nella sua terra d’origine - perché si tratta di una razza autoctona – allevata fin dall’epoca romana. E il “pelatiello”, così chiamato per la mancanza di setole, vive allo stato semibrado nel boschi del Casertano e del vicino Sannio beneventano. Molto ampia è la varietà di prodotti tipici che ne derivano: prosciutti, salsicce, soppressate capocolli. E tra le salsicce, la più caratteristica è quella sotto sugna di Vairano Patenora.

La Campania Felix non è solo terra di mozzarella di bufala, ma è legata anche ad altri prodotti caseari di primo piano. Come il pecorino di Laticauda e il pecorino salaprese, che si chiama così perché viene consumato subito dopo la salatura (sale prese) e senza stagionatura, per cui non è piccante e ha un sapore molto delicato, di latte. In questa zona si produce anche il silano Dop. E di Roccamonfina è il “casoperuto” stagionato e dalla pasta compatta.

I boschi montani offrono diverse varietà di funghi: porcini, ovoli, gallinacci, mazze di tamburo e chiodini. Rinomati i porcini dei castagneti di Roccamonfina, consumati freschi, essiccati e sott’olio. E nelle faggete oltre i mille metri del parco regionale del Matese si trovano ottimi tartufi neri, particolarmente apprezzati già da Ferdinando IV di Borbone. Dal Matese arriva anche un origano molto aromatico.

Originaria di Pozzuoli e dintorni, la mela annurca campana Igp ha trovato nella Campania Felix uno dei suoi ideali areali di riferimento. Con la sua polpa bianca, croccante, acidula e succosa, profumatissima e con caratteristiche organolettiche che la consigliano anche per i malati di alcune patologie, è considerata anche dai ricercatori come “la regina delle mele”. Particolare è anche la lavorazione, del tutto naturale, che prevede l’arrossamento a terra nei cosiddetti “melai”, dove le mele sono adagiate su letti di  aghi di pino, trucioli o materiali vegetali e vengono girate a mano, una per una per far arrossare i frutti da ogni parte. Diventa rossa direttamente sull’albero, invece, l’Annurca rossa del sud, utilizzata anche per liquori, dolci e nelle cotture al forno. Consumata e apprezzata anche duemila anni fa in Campania felix, l”orcola” o “annorcola” è stata citata come  “Annurca” solo nel 1876.  

Come frutta, c’è anche il melone verde di Capua, verde all’esterno e giallo dentro, che si conserve anche per l’inverno. Non a caso è raffigurato anche nel presepe, appeso con la rafia davanti all’osteria.

Dai castagneti che fasciano i monti del vulcano spento di Roccamonfina provengono frutti molto pregiati. In particolare, la specie Tempestiva, che è la prima castagna a maturare addirittura ai primi di settembre, è la più diffusa e se ricavano perfino caldarroste sciroppate. Dal versante nordoccidentale del vulcano arriva la Paccuta, così detta perché rotonda.  Le varietà Ufarella-Vofarella caratteristiche dei monti Trebulani sono citate anche da Plinio.

Mozzarella di Bufala campana DOP

Servono oltre quattro litri di latte di bufala per ottenere un chilo di Mozzarella Dop, il formaggio fresco a pasta filata famoso in tutto mondo, tra le specialità indiscusse della terra campana. La prima citazione scritta risale al Cinquecento, ma la presenza delle bufale in Campania è molto più remota. Tra gli allevatori convinti vi furono i Borbone, nella reggia di Carditello, dove erano le cosiddette “bufalare”, delle costruzioni circolari in cui avveniva la lavorazione del latte per la produzione delle mozzarelle. E la piana del Volturno è rimasta zona tipica di produzione insieme, a sud, alla valle del Sele. 

maRiconosciuta a livello europeo nel 1996, la Mozzarella campana Dop è declinata dalla maestria dei casari in tutte le pezzature e le versioni: bocconcini, ciliegine, perline, nodini, ovoline, treccine e trecce dai 10 agli 800 grammi, fino ai 3 chili delle trecce. 

Dal latte di bufala si ricava anche la ricotta di bufala campana DOP e il burrino e burrata di bufala, ovvero una sfoglia di formaggio di bufala con pallina di burro al centro.

La ricetta

Pettolelle con fagioli

Mettete a bagno i fagioli, possibilmente di una delle ottime varietà coltivate nella Campania felix, in acqua tiepida, 24 ore prima di cucinarli. Dopo averli tenuti a bagno, buttate l’acqua e lessateli in acqua fredda senza sale con olio extra vergine d’oliva, aglio e prezzemolo. 

Nel frattempo, preparate le pettolelle, impastando farina, uova (un etto ogni uovo) e sale. Stendete la sfoglia e ricavatene delle fettucce larghe. 

Quando i fagioli diventano morbidi aggiungete sale e pepe. Intanto, lessate a parte le pettolelle e unite i fagioli già conditi durante la cottura. Insaporite il tutto con origano e lasciate riposare qualche minuto prima di servire in tavola.