In origine era Pietra Bianca. Poi, dopo l’eruzione del Vesuvio del 1631 i cui materiali giunsero fin lì, il nome cambiò in Pietrarsa.

In quel luogo davanti al mare, nei pressi della neonata stazione ferroviaria di Portici, affacciato su uno dei panorami più incantevoli di Napoli e del suo vulcano, aprì i battenti, nel 1840, il Reale Opificio Meccanico, Pirotecnico e per le Locomotive. Nelle intenzioni del re Ferdinando II di Borbone, che lo aveva fortemente voluto nell’ambito del progetto di realizzazione della ferrovia, doveva diventare la punta di diamante del sistema industriale del regno che andava componendosi e che stava ricevendo forte impulso anche dalle scoperte innovative che il secolo stata regalando in Europa. Così, fu costruito a Portici, vicinissimo alla capitale, uno stabilimento all’avanguardia per l’epoca. Lo era anche nella struttura: ampi capannoni di pietra con delle imponenti capriate di legno a sostenerne le coperture. Lì, all’inizio, ci si dedicò alla produzione siderurgica, che nel giro dii pochi anni, con il completamento della dotazione di macchinari, fu specializzata nella produzione, manutenzione e riparazione di materiale ferroviario. Il primo stabilimento del genere in Italia, nell’unico Stato della Penisola che si era dotato di una linea ferroviaria, seppure di soli sette chilometri e mezzo: la Napoli-Portici, inaugurata il 3  ottobre 1839.

hero pietrarsa museum

Il nuovo opificio utilizzava tecnologie moderne, connesse alla scoperta e alla produzione della macchina a vapore. Fin dal 1845 vi si costruivano locomotive, come quelle assemblate in loco per la prima volta nel 1845 con i pezzi giunti dall’Inghilterra, che era la più all’avanguardia in quella produzione a livello mondiale. E già nel 1853, con tutti i macchinari in piena attività, dava lavoro a 619 operai specializzati e poteva considerarsi a pieno titolo il primo complesso industriale in Italia. Lì si costruivano e si manutenevano sia le locomotive e le carrozze dei treni che i carri merci. Ma la fonderia fu messa anche al servizio dell’arte, quando il 18 maggio 1852 vi si portò a buon fine la fusione della gigantesca (4.5 metri d’altezza) statua del re Ferdinando, rappresentato nell’atto di dare l’ordine di costruzione dello stabilimento.

Con l’avvento dello Stato unitario, la valutazione non positiva della fabbrica formulata da alcuni tecnici inviati dal nord fece ipotizzare un vero e proprio smantellamento, alla fine scongiurato, ma la fabbrica fu ceduta a privati che la ridimensionarono notevolmente. Fu un periodo drammatico, culminato nel 1877 nella dura e sanguinosa repressione delle proteste degli operai che volevano difendere il posto di lavoro. A seguito di quegli episodi, la gestione della fabbrica tornò allo Stato, poi nel 1905 Portici diventò officina per le grandi riparazioni e tale rimase nella prima metà del Novecento. Il declino iniziò dopo l’ultima guerra mondiale, quando le macchine a vapore furono soppiantate dai motori diesel ed elettrici. Si giunse così alla cessazione dell’attività il 20 dicembre 1975 con l’ultima delle oltre 600mila riparazioni effettuate. 

Fu nel 1989 che per il centocinquantenario delle Ferrovie Italiane si inaugurò di nuovo la struttura di Portici, questa volta come Museo Nazionale Ferroviario, gestito dalle Ferrovie dello Stato, il più importante d’Europa per il valore e la particolarità della sua particolarissima collezione.  

Con la statua di Ferdinando di Borbone che giganteggia nel piazzale antistante lo stabilimento ottocentesco, il museo offre la fedele riproduzione della prima locomotiva, la Bayard, utilizzata per il viaggio inaugurale della Napoli-Portici del 1839. Nei sette padiglioni, che si estendono su 14mila metri quadri coperti, il gioiello di archeologia industriale dell’opificio di Portici custodisce, tra le numerose parti di treni storici, anche la carrozza 10 del treno reale costruita dalla Fiat per le nozze tra Umberto II e Maria Josè, varie locomotive a vapore, diesel ed elettriche. E poi modellini e plastici legati all’epopea della ferrovia e il plastico da guinness Trecentotreni, lungo 18 metri e largo più di due realizzato da un ferroviere in quindici anni di lavoro. Sono ricordate anche le visite di personaggi illustri alla fabbrica di Portici, a cominciare dal papa Pio IX allo zar Nicola I. Da non perdere il salone di rappresentanza liberty dal soffitto decorato con oro zecchino.

Di grande pregio è anche l’ampia parte all’aperto del complesso museale, con un magnifico giardino che rientra  nel circuito dei Grandi Giardini Italiani e una vista mozzafiato sul golfo. Da ammirare anche dalla caffetteria “Bayard”, dal nome del progettista della linea ferroviaria che diede inizio all’intrigante storia della strada di ferro tra Napoli e Portici e in Italia.