Non ha mai lasciato le selve dell’Irpinia che porta il suo nome. Il lupo grigio ci vive da quando l’homo sapiens non conosceva ancora i primi rudimenti dell’agricoltura. Ben prima, dunque, di quando secondo la leggenda guidò i Sanniti, che lo chiamavano hirpo, nella loro nuova terra tra le montagne. Popolate da tante specie di anfibi, rettili, uccelli e mammiferi, piccoli e grandi. Tra i quali c’è anche lui, il superpredatore a cui la natura ha affidato un ruolo fondamentale nel mantenere l’equilibrio dell’ambiente appenninico. E il canis lupus italicus è un’antichissima sottospecie del lupo grigio che si è formata proprio sugli Appennini, dai quali si è diffusa dapprima sulle Alpi e poi oltre, conquistandosi sempre nuovo spazio in Europa. Una popolazione in costante crescita ed espansione, fin quando l’uomo negli ultimi secoli di una storia plurimillenaria non lo ha identificato come nemico da distruggere.
 
In Campania fu con Gioacchino Murat che vennero istituiti i premi per chi uccideva i lupi. Uno sterminio che anche in Irpinia lo ha fatto diventare un animale rarissimo. Fino a renderlo quasi invisibile, un po’ per le sue abitudini di caccia notturne e  un po’ perché relegato in aree sempre più ristrette e lontane dal territorio ormai fortemente antropizzato. Ma anche nei tempi più bui, i boschi dei monti Picentini e del massiccio del Partenio hanno continuato a nascondere e a custodire i pochi, sparuti esemplari scampati all’estinzione. E quando, a partire dagli anni ’70 del secolo scorso, i lupi sono diventati in Italia specie protetta, anche la popolazione irpina ha cominciato a riprendersi. Come testimoniano i crescenti avvistamenti di lupi anche in zone dell’Irpinia esterne ai parchi naturali in cui sono notoriamente presenti e nei pressi dei centri abitati. Di recente, il Parco Nazionale dei Monti Picentini ha avviato un progetto di conservazione del lupo per censire gli esemplari e i piccoli gruppi in cui sono aggregati e conoscerne meglio le abitudini, anche ai fini di una migliore tutela.