L’olfatto fa da guida sicura attraverso la piccola corte, che accoglie con il rosso vivace dei gerani affacciati dalle finestre quadrate. La traccia odorosa e la curiosità che l’accompagna conducono a una porta laterale, appena socchiusa.

L’aroma lì si avverte più forte. Un richiamo, imperioso perfino, a varcare la soglia, per identificarne l’origine e, soprattutto, la natura. Il primo colpo d’occhio all’interno non lascia più dubbi: su uno scaffale metallico sono allineate delle invitanti formaggette dalla colorazione giallastra, di sfumature di diverse, evidentemente per differenti livelli di stagionatura. Qualcuna è puntellata di rosso. Piccante dunque, oltre che saporita. Considerato che sono a Vitulano, non può che trattarsi del formaggio pecorino per cui, tra l’altro, è rinomato questo antico borgo tra i monti della Dormiente del Sannio..

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Due casari, con gesti misurati e sicuri, stanno finendo di riempire le fuscelle con la ricotta appena lavorata. E’ ancora calda, come sarebbe impossibile gustarla altrove. Morbida, bianca, l’invito a provarla parte ancora prima delle presentazioni ed è francamente irresistibile. Dopo l’olfatto e la vista, anche il gusto trova la sua soddisfazione in questo piccolo caseificio a conduzione familiare, dove Antonio e la moglie trasformano il latte che arriva due volte al giorno dai pascoli di montagna.

Lassù ci sono gli altri componenti della famiglia Calabrese, che si occupano delle seicento pecore dell’azienda. In gran parte di razza bagnolese, autoctona della Campania e ottima produttrice di latte. Di questi tempi, con il caldo estivo, il gregge è stato trasferito sulle colline beneventane, ad una quota più alta, secondo i ritmi millenari della transumanza che da queste parti si rinnovano inesorabilmente due volte all’anno. E’ la natura a dettare le regole degli spostamenti da un pascolo all’altro e della produzione a valle. Le pecore danno più latte in primavera e in autunno e sui diversi quantitativi stagionali è adattata l’attività del caseificio. Di sicuro e imperdibile c’è il doppio appuntamento quotidiano, al mattino e alla sera, che mobilita l’intera famiglia: gli allevatori tra i prati per la mungitura e i casari in paese per la trasformazione in formaggi e ricotta.

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Il latte, dovunque si trovi il gregge sulle alture circostanti, arriva a Vitulano appena munto. E porta dentro di sé gli innumerevoli profumi e sapori delle erbe brucate in libertà, che cambiano anch’essi a seconda delle stagioni. Così, anche se i gesti che accompagnano le varie fasi della caseificazione sono sempre gli stessi dall’inizio della storia dell’uomo, ogni formaggetta composta a mano nel piccolo laboratorio del paese ha qualcosa di unico. Per il latte, certo, ma anche per il caglio, rigorosamente naturale, che ne condivide la provenienza. E poi c’è la stagionatura, all’aria che circola liberamente dentro il laboratorio. Fresco anche d’estate, tra le protettive mura spesse di pietra che fanno schermo al sole.

Ci vogliono almeno cinque mesi di riposo, prima di poter gustare un pecorino vitulanese. La stagionatura può arrivare fino a un anno e sullo scaffale ci sono forme di tutte le generazioni per una intera gamma di sfumature, dal bianco crema delle giovanissime al marrone chiaro delle più “riposate”. Formaggi che raccontano di erba fresca e di saperi antichi. Di pascoli selvatici, tra le rocce chiare dell’accogliente terra sannita.

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